Le elezioni son finite con un verdetto che non lascia dubbi: tra coloro che puntavano a governare l’Italia c’è chi ha vinto e chi ha perso, mentre tra coloro che puntavano alla sopravvivenza poco è rimasto se non addirittura il nulla.
Fino a ieri c’era l’Italia ma mancava l’italiano, oggi, dopo aver toccato un fondo dalle origini anche internazionali, prova disperatamente a proporsi e lo fa in maniera cruenta tagliandosi le ali e soprattutto le ideologie. Si è forse reso conto che simboli, bandiere, slogan non sono prioritari rispetto alla serenità e, soprattutto, al lavoro e al mangiare.
La politica italiana, duramente colpita dal ventennio fascista, ha vissuto per 50anni un dopoguerra di compromessi e ricordi, e chi ha governato ha creato una democrazia troppo burocratizzata con un papà Stato che poco ha concesso al ceto medio, questuando il ceto più basso senza farlo crescere culturalmente (ah la scuola…) e si è poi magnificato di aver portato l’Italia fra le prime nazioni industrializzate, come se l’industria fosse la panacea dell’umanità specie in una nazione ricca di bellezze ambientali e culturali dalle infinite opportunità di lavoro.
Poi il 1992, con la scoperta dell’acqua calda di tangentopoli, per arrivare quindi al ’94 con la discesa in campo dell’imprenditore Berlusca. Da lì in poi abbiamo scoperto la politica del odio, la demonizzazione, la strumentalizzazione ed a poco a poco, sempre più poveri di portafoglio ma orgogliosi di avere cellulari, auto, vacanze, case, siam diventati da naviganti e cantanti a illusi sognatori sempre più incavolati.
Il non voler porre rimedio ad una macchina Stato che fa acqua da tutte le parti, dove il cittadino non è cliente ma contribuente; il non voler rivedere lo sviluppo del mondo del lavoro, dove il costo (non il guadagno) di un dipendente supera il reddito del “padroncino” (già, perché la nazione si regge su centinaia di migliaia di padroncini che anziché uno o due potrebbero averne tre o quattro di personale); il voler etichettare tutto e chiunque nel nome di una ideologia (se lavori in proprio sei un evasore di destra, se sei dipendente con un secondo lavoro in nero lo fai per sopravvivere) ha solo creato lotte tra poveri (non dimentichiamo che il piccolo negoziante è un precario a vita visto che ogni giorno deve procacciarsi lavoro e reddito.
Equiparare (e voler colpire) il piccolo mondo imprenditoriale a certe nobili fasce, peraltro riconoscibili e quindi facilmente controllabili, è stato un errore che non ha fatto del bene al lavoratore (il lavoro sommerso lo si combatte mettendo in condizione l’impresa di assumere e non con mille cavilli che scoraggiano qualsiasi rinnovamento). Per meglio intenderci come può un piccolo imprenditore permettersi del personale quando deve occupare gran parte del suo tempo a girare con la valigetta di documenti alla richiesta di doppie autorizzazioni anziché operare con la cazzuola o col cacciavite?
E ciò anche in nome della tanto vituperata sicurezza che in dieci anni ha partorito più leggi e costi inutili che provvedimenti efficaci, senza dimenticare che la sicurezza sociale dovrebbe valere anche per chi dà lavoro.
Queste solo alcune delle grosse colpe della sinistra (sia quella di Bertinotti sia quella di Veltroni) che ha abbandonato lavoratori e “padroni” al proprio destino. Ai prossimi governi il difficile compito di riconciliarli ed agli organi sindacali quello di favorire questo processo, pena anch’essi il probabile ridimensionamento. Difficile che questa legislatura recuperi il tanto terreno perduto (o forse mai avuto), sicuramente l’operazione di “epurazione” esercitata da Veltroni & Co ne favorirà lo sviluppo.
Forse allora, quando mi renderò conto che il mio voto è un valore, ritornerò ad esercitare questo diritto, da cui sono lontano da oltre un decennio.
Gianpaolo Dabove direttore@savonanotizie.it
vedi anche www.savonanotizie.it/scheda.php?idart=10243
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