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Argomento 'Attualità'

Rapporto infanzia: tante le paure fra i bambini
Data di pubblicazione: 19/11/2008
Rapporto infanzia: tante le paure fra i bambini L’Eurispes e il Telefono Azzurro presentano il 9° Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza È un Rapporto, quello realizzato dall’Eurispes e dal Telefono Azzurro, che si pone come un valido strumento di conoscenza delle principali trasformazioni, delle linee di tendenza, delle potenzialità e dei rischi che caratterizzano l’età evolutiva nel nostro Paese. Un’indagine utile per conoscere più da vicino gli adulti di domani e per sostenerli in una quotidianità a volte troppo frammentata e multiforme.

Le 40 schede che compongono il Rapporto approfondiscono macro-tematiche che vanno dall’abuso al disagio, dalla salute ai principali cambiamenti intervenuti a modificare taluni comportamenti delle agenzie di senso e di orientamento come la famiglia e la scuola, ma anche i luoghi della cultura e della fruizione del tempo libero.
Le due grandi indagini svolte all’interno del mondo scolastico hanno interessato circa 6.000 bambini e ragazzi in 41 scuole di ogni ordine e grado. L’Identikit del bambino è stato tracciato attraverso un questionario somministrato a bambini con un’età compresa tra i 7 e gli 11 anni, frequentanti la terza, quarta e quinta classe della scuola primaria e la prima classe della scuola secondaria di I grado. L’Identikit dell’adolescente, invece, ha raccolto gli orientamenti dei ragazzi dai 12 ai 19 anni, frequentanti la seconda e la terza classe della scuola secondaria di I grado o una delle cinque classi della scuola secondaria di II grado. I questionari analizzati sono stati 2.812 per quanto riguarda l’infanzia e 2.991 per l’adolescenza.

«Se negli anni Sessanta e Settanta – dichiara il Prof. Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes – si è assistito ad una rivoluzione di pensiero e di costume, oggi ci troviamo di fronte ad una rivoluzione “liquida” degli strumenti e dei modi di comunicare. E come tutti i cambiamenti si vivono, ma non li si comprende completamente nel viverli. Occorre fermarsi e osservare, guardarsi magari indietro, estraniarsi dai fatti e intraprendere percorsi conoscitivi scientifici. Ed è proprio lo spirito critico – e quanto più possibile scevro da influenze esterne – del ricercatore che muove e anima il nostro impegno.
Le caratteristiche della Rete sono contraddittorie. Se da un lato è lo spazio dello scambio, della conoscenza, dell’incontro, dall’altro rischia di essere un luogo di solitudine, di persone che sole stanno davanti al proprio pc o al display del telefonino. La si potrebbe definire una forma di “socializzazione solitaria”. Consapevoli del fatto che i propri genitori non capiscono bene o non conoscono affatto l’utilizzo di Internet, i giovani trovano in esso uno spazio “a prova di adulto”. Ciò fa sì che l’utilizzo delle tecnologie tracci, all’interno delle mura domestiche, una sorta di “zona franca” il cui accesso ai genitori è spesso precluso.
D’altra parte, è anche vero che i nuovi media e la Rete hanno creato e continuano a forgiare una nuova leva di cittadini. Se Internet è il luogo della comunicazione globale e democratica è pure vero che i più giovani trovano altre modalità rispetto al passato di rappresentarsi, di confrontarsi, di esprimere le proprie opinioni e la propria personalità. Divenuti diffidenti nei confronti dei mezzi di comunicazione tradizionali, o meglio nei confronti dei contenuti da essi proposti, si allontanano da un certo tipo di informazione eterodiretta e vanno a formare, all’interno di quella che è ormai una opinione pubblica reticolare, una estensione parallela. Un gruppo di pressione nella nuova agorà virtuale che segna il passaggio dalla piazza alla Rete, che si fa portatore, attraverso il confronto, delle istanze e dei cambiamenti propri di una delle età più creative, sofferte e partecipate della vita.
Quello che occorre riattivare – conclude il Presidente dell’Eurispes – sono i comportamenti fuori dal coro, intesi come la capacità di elevarsi da una certa propensione all’omologazione. È necessario che siano gli adulti, intesi in una concezione più ampia come le Istituzioni, la politica, il corpo sociale ad appropriarsi di nuove conoscenze e dotarsi degli strumenti più adatti per aprire il dialogo con le nuove generazioni».

«Una prima chiave di lettura utile da cui partire – dichiara il Prof. Ernesto Caffo, Presidente di Telefono Azzurro – è la percezione che di questo mondo in movimento hanno i bambini. Dobbiamo considerare che questa generazione di bambini non percepisce la maggior parte dei cambiamenti come novità, avendo imparato a conviverci fin dalla nascita: parliamo di bambini abituati a viaggiare, ad andare sulla Rete, a comunicare in modo nuovo, a incontrare anche a scuola persone provenienti da altri Paesi. Sono invece gli adulti ad essere spesso inadeguati al cambiamento e impreparati di fronte alle mutazioni in atto.
I bambini invece avrebbero bisogno di adulti mediatori, soprattutto a fronte di ciò che non possono comprendere fino in fondo e soprattutto a fronte delle emergenze che possono destabilizzare o mettere in pericolo la loro infanzia. Non sorprende allora che da questo Rapporto emergano paure dei bambini e degli adolescenti come quella di essere rapiti, violentati, di essere avvicinati da persone sconosciute, o quelle di eventi traumatici come gli attentati terroristici. A fronte di ciò – prosegue il Prof. Caffo – i bambini percepiscono gli adulti come non aggiornati, disinformati o peggio ancora “disinformatizzati”, e per questo motivo non sempre capaci di aiutarli a far fronte ai nuovi rischi, fra i quali quelli presenti su Internet: le cyberdroghe, i blog ed i forum che propagandano anoressia e bulimia, o i contenitori dove “reclamizzare” i propri atti di bullismo. Da dove ripartire allora? Chi, come Telefono Azzurro, è abituato all’ascolto dei bambini e degli adolescenti, sa che bisogna ripartire proprio da qui. Saper ascoltare, anche perché (e questo è un altro particolare che emerge dal Rapporto) bambini e adolescenti di oggi hanno punti di vista, competenze relazionali e risorse che vanno conosciute, valorizzate e di cui va fatta maggiore “pubblicità”: sono curiosi e desiderosi di partecipare attivamente alle decisioni che li riguardano e che ad esempio coinvolgono la comunità in cui vivono. Il quadro che emerge ci dice soprattutto una cosa: se la priorità degli adulti in genere deve esser quella di riprendersi il proprio ruolo educativo, la priorità delle Istituzioni deve essere parimenti quella di dar vita a vere politiche dell’infanzia che facciano del bambino un soggetto di diritti».



I BAMBINI

Un pc per tutti. Il 73,4% dei bambini ha un computer. Il 60,6% ha, in casa, una console portatile/videogioco, il 58,6% dispone di un telefono cellulare, il 56,3% utilizza, oltre al pc, anche il collegamento ad Internet, il 56,2% ha un lettore di musica Mp3 e solo il 25,3% possiede un televisore al plasma con maxischermo, contro un 64,2% che continua a guardare i programmi televisivi attraverso un apparecchio tradizionale.
Qual è il medium più utilizzato? La televisione suscita ancora un forte fascino: il 10,9% la guarda per più di quattro ore al giorno, il 31,9% fino ad un’ora, il 31,5% da una a due ore, il 13,7% da due a quattro ore e, significativamente, solamente il 4,7% afferma di non guardarla.
A seguire, e in stretta connessione con l’uso della Tv, il lettore Dvd viene utilizzato fino ad un’ora dal 33,3% dei bambini, da una a due ore dal 26,5% di essi, mentre il 19,8% dichiara di non utilizzarlo.
Il 21,1% dei piccoli non impiega il proprio tempo libero davanti ai videogiochi, contro il 32,4% che vi trascorre massimo un’ora e il 19% da una a due ore.
Il computer viene utilizzato quotidianamente dal 38,4% dei bambini per circa un’ora, dal 16,7% fino a due ore al giorno e si attesta al 22,9% la quota di piccoli che non ne fanno uso.
Il 39,1% non utilizza lettori di musica Mp3, contro il 9,3% che li ascolta da una a due ore al giorno. Una percentuale ancora più elevata di bambini, pari al 45,3%, rivela di non navigare in Internet, contro il 22,1% che lo fa al massimo per un’ora al giorno e il 10,7% che visita la Rete da una a due ore al giorno, mentre il 5,5% dei piccoli la utilizza fra le due e le quattro ore e il 5,4% per più di quattro ore al giorno.
Infine, il 46,3% dichiara di non utilizzare affatto il cellulare o il videotelefonino, probabilmente perché non è stata raggiunta ancora un’età tale da giustificare un uso massiccio del telefono cellulare. Esso viene adoperato, invece, fino ad un’ora dal 28,3% dei piccoli e dal 7,7% per un massimo di due ore.
L’età per imparare a navigare. Il 47,5% dei bambini ha imparato a navigare tra i 9 e gli 11 anni, mentre è pari a 38,5% la percentuale di quanti hanno mosso i primi passi nella Rete ancora più precocemente, tra i 6 e gli 8 anni. Si naviga in Rete soprattutto per ricercare informazioni (58,7%), giocare (56,5%), scaricare musica (49,2%), ricercare materiale per lo studio (45,5%), fruire di filmati su YouTube (44,6%), comunicare attraverso chat (33,1%), partecipare a giochi di ruolo (24,1%), leggere blog (22,2%), partecipare a forum di personale interesse (18,9%) e acquistare prodotti on-line (11,1%).
I padri: i più alfabetizzati e competenti sull’uso di Internet. I più alfabetizzati risultano essere i padri (36%), seguiti da insegnanti (32,9%), fratelli maggiori (27,9%), amici (21,2%), madri (15,5%), fratelli minori (7,2%) e nonni (5,5%).
A portata di cellulare. Il 57,5% dei bambini possiede un cellulare, contro il 36,6% che non ne dispone ancora. Il 40% dichiara di possedere un cellulare, il 7,1% un video-telefonino, il 5,9% di averne più di uno, il 3,1% un cellulare Umts e l’1,4% uno smart-phone.
Tra gli 8 e i 9 anni il primo telefonino. Avere un telefonino è normale già nell’età compresa tra gli 8 e i 9 anni (34,9%), seguita da quella subito superiore, tra i 10 e gli 11 anni (23,3%). D’altra parte, il 17,6% dei bambini dichiara di aver ricevuto il cellulare in un’età compresa tra i 6 e i 7 anni, mentre il 10,1% ha avuto il cellulare prima dei 6 anni.
Perché i bambini usano il cellulare? Soprattutto per chiamare i genitori (73,7%), ma anche per scattare fotografie (61,3%), chiamare gli amici ed inviare sms (58,6%), giocare (56%), per girare filmati (49,5%), per fare squilli (44,9%), per inviare mms (33,2%), per scaricare loghi e suonerie (26,3%), per guardare programmi televisivi (16,5% ) e per navigare in Rete (12,8%).
I videogiochi pericolosi: sempre più spesso tra le mani dei maschietti. La percentuale di quanti confessano di aver giocato con videogiochi inadatti (47,6%) supera di 0,6 punti percentuali quella relativa al gruppo di bambini che, invece, sostengono il contrario (47%). Inoltre sono, soprattutto, i maschi ad affermare di avere trascorso il proprio tempo con videogiochi non adatti alla loro età (64,2% dei maschi vs il 31,6% delle femmine).
I piccoli sono consapevoli del fatto che i videogiochi violenti non sono adatti per loro (38,5%), il 22,4%, invece, li reputa divertenti. Un bambino su cinque (20,9%) afferma che giocare con videogiochi violenti porta a comportarsi in modo violento. Segue il gruppo di quanti sostengono che i videogiochi violenti servano per scaricare la rabbia (8,5%) mentre il 4,8% ritiene che facciano provare un senso di forza e potenza.
Quanto infastidiscono le scene violente trasmesse dai media? Il 59,8% è poco (20,6%) o per nulla (39,2%) turbato se vede immagini di zombie e mostri sullo schermo (contro il 32,3% che si dice, invece, abbastanza o molto infastidito). Il 53,8% dei bambini si dice poco (17,4%) o per nulla (36,4%) spaventato da immagini di guerra (contro il 38,3% che si dice, invece, molto e abbastanza turbato). Inoltre, il 49,7% del campione dice di mostrare poco (17,2%) o nessun (32,5%) fastidio nei confronti di immagini di sangue e ferite (contro il 42,6% che sostiene il contrario). Il 47,9% dei bambini invece mostra poco (15,1%) o per nulla (32,8%) fastidio se sullo schermo vede persone che litigano in maniera accesa (contro il 42,9% che si dice molto o abbastanza infastidito); il 47,8% dei bambini è poco (16,9%) o per nulla (30,9%) infastidito da
scene di violenza (contro il 45,2% che afferma il contrario); il 46,6% è poco (14,6%) o per nulla (32%) turbato se assiste a volgarità e parolacce (contro il 44,3% che sostiene il contrario); il 46,5% mostra poco (13,3%) o per nulla (33,2%) fastidio se vede sullo schermo immagini di sesso (contro il 45,3% che si dice molto o abbastanza turbato).
Le scene di morte sono quelle che fanno più paura. Il 46,8% dei piccoli si dice molto (31,9%) e abbastanza (14,9%) infastidito da questo tipo di scene contro il 45,3% di quanti, invece, si dichiarano poco (15,8%) o per nulla (29,5%) turbati.
Cosa è il bullismo per i bambini? Per il 59,9% dei bambini il bullismo è una prepotenza contro un compagno più debole che si ripete spesso; per il 17,7% si tratta di un’azione che va contro la legge. In pochi manifestano una posizione più “indulgente”: per il 7,3% si tratta di un gioco tra compagni, per il 6% di un litigio o una presa in giro.
Gli atti di bullismo più diffusi: i brutti scherzi. Oltre un quarto dei piccoli è stato ripetutamente vittima di brutti scherzi (27,8%), seguono le provocazioni e le prese in giro (26,6%) e le offese immotivate (25,6%). Il 17,6% è stato invece continuamente escluso ed isolato dal gruppo. Nel 13,5% dei casi i bambini riferiscono di aver subìto furti di oggetti o cibo (13,5%), percosse (11,5%), minacce (11,1%), ma anche furti di denaro (4,7%). Sono soprattutto i maschi ad aver subìto ripetutamente minacce (15,4% contro 7%), percosse (14,8% contro 8,2%), provocazioni e/o prese in giro (29,5% contro 23,8%), brutti scherzi (29,9% contro 25,9%), offese immotivate (27,4% contro 23,8%), furti di oggetti/cibo (14,8% contro 12,3%). Le bambine invece si trovano con più frequenza a dover subire l’esclusione e isolamento dal gruppo (20,2% vs 14,9%).
Il bullo è tra i coetanei. Fra i bambini che sono stati vittima di atti di bullismo la percentuale più elevata riferisce di essere stata presa di mira da un bambino della sua età (17,8%); in altri casi è responsabile un ragazzo più grande (9,7%), un gruppo di maschi (6,2%), una coetanea (5,3%), un gruppo misto (4,5%).
Come reagisce la vittima di fronte al bullo. Sono in molti a non reagire (16,3%). D’altra parte, il 13,2% dei bambini ha avvertito un insegnante o il Dirigente scolastico, l’11,7% ha detto al bullo di smetterla, il 9,8% è addirittura venuto alle mani, l’8,4% ha avvertito i suoi genitori, il 7,5% ha chiesto l’aiuto di altri compagni, il 5,9% è fuggito, il 3,6% si è messo a piangere. Circa un bambino vittima di bullismo su quattro dichiara quindi di aver adottato un atteggiamento passivo di fronte agli atti di prepotenza; un bambino su cinque ha invece reagito attivamente da solo, a parole o con uno scontro fisico. La maggior parte (29,1%) ha però preferito chiedere un aiuto esterno ai propri coetanei o, più spesso, ad un adulto, in ambito scolastico o famigliare.
Le maggiori differenze tra bambini e bambine si riscontrano nel fatto che, prevedibilmente, i maschi vengono alle mani con il bullo più spesso rispetto alle femmine (14,1% contro 5,5%), mentre le femmine avvertono i loro genitori con maggior frequenza (11,1% contro il 5,7% dei maschi).
Che cosa prova un bambino di fronte ad un episodio di bullismo? La rabbia è il sentimento che più comunemente i giovanissimi (31%) avvertono quando si trovano a dover affrontare una situazione di prepotenza ai danni di propri coetanei. Molti bambini affermano, inoltre, di provare pena per la vittima (28,8%) e paura (18,1%). Sostengono di provare divertimento e invidia per il bullo, invece, rispettivamente il 2,2% e l’1,9% dei bambini interpellati.
Come si comporta chi assiste ad episodi di bullismo? Il 17,7% dei bambini afferma che, innanzi ad azioni di prepotenza, i propri compagni di scuola si spaventano mentre nel 16,5% dei casi il comportamento adottato è quello di chiedere aiuto ai più grandi. Il 15,2% dei bambini dichiara che tra compagni si manifesta spesso un atteggiamento di disapprovazione che li spinge ad aiutare la vittima. All’incirca un bambino su dieci (9,5%) sostiene, al contrario, che i propri compagni si divertono innanzi a scene di bullismo, il 5,1% che vige l’indifferenza mentre il 4% sostiene che i compagni disapprovano il gesto ma non agiscono per contrastarlo. Solo il 2,4% confessa che i propri compagni reagiscono dando man forte al bullo.
Che cosa si può fare per fermare il bullismo? I bambini ritengono che la soluzione al fenomeno sia quella di appellarsi al mondo degli adulti (32,1%). Un bambino su cinque circa (21,5%), invece, pensa che parlare con il bullo per convincerlo a non agire più con prepotenza sia l’unico modo per arginare il fenomeno. Segue il gruppo di minori a favore di una punizione per il bullo (17,7%) e di quanti credono sia necessario agire in gruppo per sostenere la vittima ogni qualvolta si verifichino episodi di prepotenza gratuita (10,6%). Solo il 3,3% pensa che il fenomeno possa essere fermato convincendo la vittima a reagire.
A scuola si verificano episodi di bullismo? I bambini a cui è capitato di assistere ad episodi di bullismo a scuola sono meno di un terzo del totale (30%); il 66,3% dichiara invece di non aver mai assistito a questi episodi.
In quale modo intervengono gli insegnanti? Quando si trovano di fronte ad episodi di bullismo, generalmente gli insegnanti intervengono rimproverando i responsabili (26,1%), prendendo provvedimenti disciplinari (19,6%), parlandone con i genitori (16,6%). Nel 9,2% dei casi i docenti espongono il problema al Dirigente scolastico. Comunque, il 6,3% dei bambini afferma che gli insegnanti non si accorgono di nulla, il 2,8% riferisce invece che non intervengono.
Le campagne antibullismo a scuola. Più della metà dei minori (56,2%) riferisce che a scuola gli insegnanti hanno parlato di bullismo. Significativa, d’altra parte, la percentuale dei casi in cui l’argomento non è stato affrontato (39,9%). I bambini che riferiscono di aver sentito parlare di bullismo dai loro insegnanti a scuola sono decisamente numerosi al Sud (72,3%) ed al Centro (64,8%).
Ti capita di aver paura di… La paura di essere rapito si attesta in cima alla classifica con il 22,6%. Il 16,3% dei bambini ha poi paura di essere avvicinato da persone sconosciute, il 16,2% di essere coinvolto in attentati terroristici, il 13,9% di perdersi, il 13,5% di assistere a scene violente, il 12,6% di rimanere solo in casa e di essere picchiato da altri bambini/ragazzi.
Quanti bambini si sono sentiti in pericolo? Nonostante più della metà dei piccoli (56,7%) sostenga di non essersi mai sentito in pericolo, il 38,3% di essi confessa di essere stato protagonista di una situazione in cui si è sentito messo a rischio o ha dovuto fronteggiare una situazione di emergenza. Il 39,2% dei bambini non si è sentito al sicuro andando in giro per la città, il 23,8% restando a casa, il 14,5% non sa o preferisce non rispondere, il 10,1% a scuola, il 7,6% ha risposto “altro” (in vacanza, al mare, al supermercato) e il 4,8% si è sentito in pericolo navigando in Internet.
I genitori: i principali punti di riferimento nelle situazioni di emergenza. Il 42% dei bambini ha risposto di essersi rivolto ai genitori o comunque ad una figura adulta degna di fiducia, il 14% ha conservato il segreto, decidendo di non parlarne con nessuno, il 9,5% ha preferito contare sulle proprie forze, difendendosi da solo, il 6,9% ha confidato l’accaduto ad un amico e una minoranza (il 3,2%) ha chiamato un numero di emergenza.
Come si comportano i bambini se uno sconosciuto in macchina offre loro un passaggio. Il 49,8% non accetterebbe e andrebbe via, il 22,7% aumenterebbe il passo, ignorando lo sconosciuto, il 16% direbbe all’uomo di aspettare e andrebbe a chiamare un genitore, il 5,9% non sa come si comporterebbe in una situazione simile o preferisce non rispondere al quesito, il 2,9% accetterebbe il passaggio e salirebbe in macchina.
I bambini stranieri nelle classi italiane. La percentuale di classi nelle quali è iscritto almeno un bambino straniero si avvicina molto al 62% (61,6%), superando di oltre 26 punti percentuali la frequenza rilevata per le classi nelle quali non è presente alcun bambino di nazionalità diversa da quella italiana (35,6%). Nel 25,8% dei casi si tratta di realtà scolastiche che ospitano quattro (4,6%) o più (21,2%) bambini di diversa nazionalità per classe. I valori calano lievemente per le aule in cui a seguire le lezioni vi sono da uno a tre alunni provenienti da altri paesi (uno: 19,1%; due: 12,6%; tre: 4,1%).
Nel Nord-Ovest e nelle Isole la presenza più consistente. Sono più di quattro i bambini di nazionalità straniera nelle aule scolastiche nel Nord-Ovest (42,7%) e nelle Isole (34,6%), seguite dalle regioni del Nord-Est (21,9%). Nel Centro Italia, invece, è particolarmente elevata la percentuale di aule nelle quali non vi è alcun bambino proveniente da altri paesi europei o extra-europei (51,2%). Si discostano, con il 5,3% in meno, le regioni del Sud e le Isole, entrambe con una percentuale pari al 45,9%.
Il livello di integrazione dei compagni stranieri. Il 66% delle volte i bambini di nazionalità diversa da quella italiana, dopo aver superato l’iniziale e fisiologico periodo di adattamento, si sentono perfettamente a loro agio in classe. A tale dato, va aggiunta la percentuale del 12,5% dei casi in cui il bambino non avverte affatto i problemi legati all’integrazione e, fin dal primo momento, non incontra alcun ostacolo nel relazionarsi con gli altri compagni. Percentuali decisamente meno elevate caratterizzano, invece, situazioni in cui i bambini stranieri faticano ad integrarsi con i compagni (8,3%) o, viste le difficoltà incontrate, decidono di abbandonare la scuola (1,4%).
Tra alunni italiani e stranieri l’amicizia è il legame prevalente. La maggioranza ha dichiarato di aver instaurato un rapporto di amicizia (54,8%) e di provare simpatia (12,6%) o interesse (2,5%). Ma ci sono anche casi in cui il processo di integrazione si scontra con sentimenti meno cosmopoliti: il 3,4% dei bambini intervistati si dimostra indifferente nei confronti dei compagni stranieri, oppure prova fastidio (1,3%), paura o antipatia (1%). Inoltre, il 17% del campione varia il suo comportamento e la natura dei sentimenti in funzione dei diversi casi particolari.
La scuola come laboratorio di integrazione. Nel 52,6% dei casi la scuola organizza iniziative che facilitano l’accoglienza e l’inserimento dei bambini provenienti da altri paesi e solo nel 10,9% delle volte si è constatata una carenza di questo tipo. Appare, poi, particolarmente elevata la percentuale dei piccoli intervistati che dichiara di non sapere se all’interno della scuola vengano portati avanti progetti in tal senso (30,7%), a cui si può aggiungere il 5,8% di coloro che non ha espresso alcuna opinione in proposito.
Uomo e donna hanno ruoli paritari? Secondo il 60,4% dei bambini tra i 7 e gli 11 anni, uomo e donna dovrebbero collaborare nello svolgimento dei compiti all’interno della famiglia. Percentuali più irrisorie indicano, invece, che le attività domestiche e le responsabilità familiari dovrebbero essere parzialmente (10,2%) o completamente distinte (6,4%).
La carriera è donna? Il 56,4% dei bambini ritiene che fare carriera sia importante tanto per l’uomo quanto per la donna. Quasi il 70% (67,2%) del campione ritiene che non vi debbano essere differenze tra i sessi nella scelta delle attività lavorative, poiché la donna può essere brava quanto un uomo in ogni ambito. In funzione di questo, il 57% afferma, inoltre, che le posizioni di potere in ambito aziendale o politico possano essere ricoperte da entrambi i sessi. Ma il 61,6% si dichiara molto (31%) o abbastanza (30,6%) d’accordo sul fatto che spetti alla donna il compito di curare la casa e che la sua piena realizzazione sia nell’ambito familiare (68,9%); così come il 51,2% crede che la donna dovrebbe pensare di abbandonare il suo lavoro nel momento in cui la coppia decide di mettere al mondo dei figli.
Quanto è insolito l’uomo-casalingo o la donna-militare? Per la maggior parte dei bambini non vi è niente di strano nel fatto che un uomo si cimenti con attività casalinghe come cucinare (75,3%) o fare le pulizie (59,7%). Allo stesso modo, non è affatto curioso che una donna si arruoli nell’esercito (55,2%) o che aspiri a salire al Quirinale (67%). Inoltre il 50,6% dei bambini afferma di non trovare strano che un uomo studi danza, così come che una donna giochi a calcio (68,9%).
I bambini sono soddisfatti della città in cui vivono? I bambini si trovano bene nelle città in cui vivono (96,2%), ma, allo stesso tempo, riconoscono l’esistenza di problematiche che non rendono ottimali le condizioni di vita all’interno dei contesti urbani. Infatti, essi rivelano che nelle loro città c’è traffico (abbastanza 32,5%, molto 26,1%) e inquinamento (abbastanza 29,3%, molto 26,8%).
Il mondo dei grandi attraverso gli occhi dei bambini. I piccoli hanno una buona considerazione degli altri. In particolare, credono che il loro parere venga preso in considerazione (abbastanza 38,9% e molto 16,9%) e che gli abitanti siano solidali tra loro (abbastanza 43,3% e molto 27,2%). Infatti, secondo quanto affermato dalla maggioranza dei piccoli, le persone non vivono isolate (per niente 53,6% e poco 29,5%) e non ci sono soggetti pericolosi (per niente 21,1% e poco 33%). Inoltre, essi dichiarano che nelle loro città ci sono spazi in cui muoversi liberamente anche senza il controllo di adulti (abbastanza 32,5% e molto 16,7%).
Che cosa manca nella città a misura di bambino? I bambini sono soddisfatti della presenza, nelle loro città, di spazi verdi (abbastanza 36% e molto 24,9%), di parchi giochi (abbastanza 36,5% e molto 21,8%), di attrezzature sportive (abbastanza 38,3% e molto 30,5%) e di iniziative culturali (abbastanza 34,1% e molto 21%). Al contrario, essi dichiarano di non avere a disposizione biblioteche (51,6%, di cui per niente 19,4% e poche 32,2%) in cui poter leggere e arricchirsi culturalmente e spazi in cui sono presenti postazioni Internet disponibili a tutti (58,1%, di cui per niente 27,7% e poco 30,4%).
I bambini: cittadini attivi per un futuro sostenibile ed equo. Ben il 62,2% vorrebbe partecipare alle decisioni che riguardano la propria città. Solo una piccola percentuale di giovanissimi non è interessata o crede che sia compito degli adulti proporre soluzioni volte al miglioramento delle condizioni di vita nei contesti urbani (in entrambi i casi il 18,2%).
La “città dei bambini” ideale. Avrebbe tanti luoghi in cui giocare e incontrarsi (26,3%) e un ambiente urbano meno inquinato (25,9%). Ci sarebbero maggiori occasioni di sport e divertimento (13,4%), ma anche eventi culturali (11,8%), più parchi e spazi verdi (11,2%) e un numero maggiore di vigili e poliziotti in grado di garantire la sicurezza nelle strade (8,9%).

GLI ADOLESCENTI

Mai senza pc e cellulare. I telefonini (96,2%) e i computer (93%) risultano essere strumenti indispensabili nella vita quotidiana dei ragazzi. Solo il 3,2% e il 5,4% affermano di non avere rispettivamente il telefonino o il Pc. Così come è oramai diffusa la navigazione sul web: nell’81,9% dei casi, i pc sono collegati ad Internet, mentre l’85,2% dei ragazzi ascolta musica con il proprio lettore mp3. Non conoscono ancora grande diffusione i televisori al plasma: il 66,5% degli adolescenti non ne possiede ancora uno.
Ragazze hi-tech. Il 97,9% delle ragazze possiede un telefonino, contro il 94,2% dei maschi; l’87,3% possiede un lettore mp3, contro l’82,6% dei maschi. La differenza si riscontra in modo particolare nell’uso di Internet: l’84,7% delle femmine afferma di avere il proprio pc connesso alla Rete contro il 78,3% dei ragazzi. Inversione di rotta nel caso delle console portatili e dei videogiochi: ne possiede almeno una il 69,5% dei maschi a fronte del 39% delle ragazze.
Internet, Tv, cellulari...una generazione di iperconnessi. Il 31% degli adolescenti utilizza il cellulare fino ad un’ora al giorno, il 15,3% da 1 a 2 ore, l’11,2% da 2 a 4 ore e addirittura il 30,8% dedica più di 4 ore della propria giornata all’uso del cellulare. Il 42,4% guarda la Tv da 1 a 2 ore al giorno, il 24,7% la segue mediamente da 2 a 4 al giorno e addirittura il 9% la guarda per più di 4 ore. I ragazzi trascorrono una parte consistente della propria giornata in Rete: il 26,5% naviga fino ad un’ora al giorno, il 22,5% da 1 a 2 ore, il 16,5% da 2 a 4 ore ed il 12,9% per più di 4 ore al giorno. I giovani ascoltano poi musica con il proprio lettore mp3 fino ad un’ora al giorno nel 39,2% dei casi; lo stesso tempo viene dedicato al gioco con la console nel 26,1% dei casi. Il 32,2% e il 28,9% preferisce trascorrere rispettivamente fino ad un’ora e tra una e due al giorno guardando un film con il proprio lettore dvd.
Ragazzi nelle Rete. Il 33,8% degli adolescenti ha incominciato ad utilizzare Internet tra i 9 e gli 11 anni, l’8,9% addirittura tra 6 e 8 anni. Il 45,9% afferma invece di aver incominciato a connettersi quando aveva un’età compresa tra 12 e 15 anni.
Internet per tutti i gusti. Internet è utilizzato soprattutto per la ricerca di informazioni di proprio interesse (90,5%) e di materiale per lo studio (80%). Diffusi inoltre, il download dal web di musica, film, giochi o video (72,5%) e la fruizione di filmati su You Tube (69%). Diffusa anche la consuetudine di chattare (69,4%). Un adolescente su due (50%) comunica tramite posta elettronica; il 51,9% preferisce la lettura dei blog. Meno frequenti la partecipazione ai giochi di ruolo (16,6%) e la partecipazione ai forum (18,3%). Internet viene poi usato dai ragazzi per giocare con i videogiochi (38,9%) e per fare acquisti on line (21,7%).
Quando il rischio corre sul Web. L’11,5% degli adolescenti è stato molestato o ha dichiarato di aver ricevuto proposte oscene da un coetaneo; nel 7,7% dei casi l’autore delle molestie era un adulto conosciuto in Rete. L’8% degli adolescenti ha incontrato in chat un adulto che si dichiarava suo coetaneo. Al 18,5% dei giovani è capitato di incontrare dal vivo coetanei conosciuti in Rete, mentre al 3,6% è successo di conoscere dal vivo adulti conosciuti su Internet. Frequentare chat e community per conoscere persone è il modo utilizzato dal 42,9% degli adolescenti, contro il 55,2% che non l’ha mai fatto.
Ma come reagiscono i ragazzi se qualcuno conosciuto in Rete li infastidisce o li molesta? Il 58,4%, per troncare ogni contatto con il soggetto conosciuto in Rete, evita la chat, il forum o il sito dove l’ha conosciuto (13%) o comunque decide di non rispondere (45,4%). La soluzione adottata dal 19,8% degli adolescenti è quella invece di invitare il “molestatore” a non dare più fastidio. Pochi preferiscono parlarne con un adulto (3,1%) o con un coetaneo (1,9%). Il 2,2% è invece convinto che non possa accadere nulla e continua la conversazione.
Mamme e papà promossi in informatica, con riserva. I padri (“abbastanza” e “molto” rispettivamente nel 25% e 17,3% dei casi) risultano, rispetto alle madri (“abbastanza” e “molto” rispettivamente nel 19,7% e 9,2% dei casi), più preparati in tema di computer e Internet. Per questioni generazionali è comprensibile che siano i nonni (“per niente” nell’84,9% dei casi) a non essere pratici di computer e Internet e che invece siano gli amici quelli che ne sanno di questi strumenti tecnologici (“abbastanza” e “molto” rispettivamente nel 38,9% e 46,8% dei casi). Anche il corpo docente risulta preparato “abbastanza” e “molto” nel 48,1% e nel 10,2% dei casi.
Sempre raggiungibili. Solo il 3,8% degli adolescenti non è in possesso di un cellulare, il 95,9% ne ha uno. In particolare, il 59,2% ne possiede uno, il 14,5% ha un telefonino Umts, il 12,6% è provvisto di un video-telefonino e il 7,9% dispone di più di un tipo di cellulare. Il 36,9% ha avuto il primo cellulare tra i 10 e gli 11 anni, seguiti da quanti hanno un cellulare dall’età di 12-13 anni (26,9%) e da chi invece ce l’ha da quando di anni ne aveva 8-9 (22%). Il 4,9% dei ragazzi dichiara, inoltre, di aver ricevuto un cellulare tra i 6 e i 7 anni, il 4,4% tra i 14 e i 15 anni, il 3,4% in età prescolare e solo lo 0,2% dopo aver compiuto i 16 anni.
Ma a quali usi è destinato un cellulare nelle mani dei ragazzi? Si usa soprattutto per inviare sms (94,9%), chiamare genitori (94,5%) e amici (92,8%). Altri usi comuni interessano le fotografie (86,6%), gli squilli (83,6%), i filmati (73,7%), gli mms (55,2%) e i giochi (46,7%). Meno frequente l’abitudine di scaricare loghi e suonerie (11,4%), l’uso di Internet (8,2%) e la visione di programmi televisivi (6,8%).
Se il 79,3% degli adolescenti non ha mai messo on line un video amatoriale, l’11,6% ammette di averlo fatto, mentre un 7,3% rientra nella cerchia di quanti non sono avvezzi a questa pratica, ma solamente perché non sono in grado di farlo. Tra quanti hanno risposto positivamente alla domanda circa la pubblicazione di filmati girati con il videofonino, il 43,4% lo ha fatto perché trovava il video bello, il 27,2% per rendere partecipi gli amici di quanto filmato, l’8,5% per cercare di diventare famoso in Rete, il 3,7% per prendere in giro i ragazzi ripresi nel video e lo 0,7% per spirito di emulazione rispetto alla cerchia di amici.
Videogiochi violenti. Che cosa fanno i ragazzi? La percentuale di quanti affermano di non aver giocato con videogiochi non adatti (55,1%) supera di ben 11,3 punti percentuali quella relativa al gruppo di quanti sostengono, al contrario, di averci giocato. La maggior parte dei giovani (34,2%) pensa che i videogiochi violenti non siano adatti ai bambini; segue il gruppo di quanti ritengono che la violenza del videogioco possa indurre effetti negativi sul comportamento (27,8%). Un giovane su 5 circa (20,1%) reputa divertenti i videogiochi violenti. L’11,6% degli adolescenti pensa che il videogioco violento possa servire a fare scaricare la rabbia mentre il 5,5% che induca nel giocatore un senso di forza e potenza. Riguardo ai contenuti dei media, il 79,4% afferma di provare poco (31,5%) o nessun (47,9%) fastidio nei confronti di mostri e zombie (contro il 19,4% che afferma il contrario); il 70,2% è disturbato poco (29,9%) o per nulla (40,3%) da scene di sesso sullo schermo (contro appena il 28,2% che ritiene di essere turbato da immagini del genere); il 67,3% è turbato poco (30,9%) o per nulla (36,4%) da immagini di persone che litigano in maniera accesa (contro il 21,2% che afferma il contrario); sangue e ferite provocano poco (30,2%) o nessun (35%) fastidio secondo il 65,2% dei ragazzi (contro il 33,2%); volgarità e parolacce inducono disturbo solo al 35,4% degli adolescenti, mentre il restante 62,7% afferma di provare poco (27,9%) o nessun (34,8%) fastidio innanzi a scene del genere; il 61,2% ha poi affermato di provare poco (29%) o nessun (32,2%) fastidio innanzi a immagini di guerra contro il 37,2% che si dice molto o abbastanza turbato.
Che cosa pensano gli adolescenti del bullismo? Il bullismo rappresenta una prepotenza che si ripete spesso (82,1%) contro un compagno più debole. Il 10,9% dei ragazzi ritiene che si tratti di un’azione illegale. In pochi minimizzano la gravità di questi comportamenti: il 3,7% parla di un litigio o una presa in giro tra compagni, l’1,9% di un gioco tra compagni. Le forme di prevaricazione sperimentate con maggior frequenza sono le provocazioni e/o prese in giro ripetute (21,6%), le offese immotivate ripetute (17,9%), i brutti scherzi (14,4%). Gli atti di bullismo di cui i ragazzi si dicono più raramente vittime sono le percosse (2,8%) ed i furti di denaro (4%).
Chi sono i bulli? Gli adolescenti che riferiscono di aver subìto atti di bullismo indicano come responsabile soprattutto un proprio coetaneo di sesso maschile (11,2%). Il 7,3% parla invece di un ragazzo più grande, il 7% di un gruppo di maschi. Seguono una coetanea di sesso femminile (5,3%) ed un gruppo misto (3,8%). I maschi hanno subìto atti di bullismo soprattutto da parte di un coetaneo maschio (14,9%), di un ragazzo più grande (11,3%), o di un gruppo di maschi (9%). Le femmine indicano invece quasi con la stessa frequenza un ragazzo della loro età (8,1%) ed una ragazza della loro età (7,6%); segue un gruppo di maschi (5,2%).
Quasi un adolescente su quattro, vittima di bullismo, afferma di non aver reagito (24%). Il 17,7% ha detto al bullo di smetterla, il 14,6% è venuto alle mani con il bullo; meno elevata la quota di chi ha avvertito un insegnante o il Dirigente scolastico (7,8%), i propri genitori (6,5%) o ha chiesto l’aiuto di altri compagni (5,8%).
Omosessuali, stranieri, disabili e “secchioni”: le vittime predilette dei bulli. I ragazzi che non sanno difendersi sono i più esposti agli episodi di bullismo (28,9%). Altri elementi di vulnerabilità vengono individuati dai ragazzi nell’essere omosessuale (18,1%) e nell’appartenere ad un’altra cultura (15,3%), seguono l’essere diversamente abile (8,4%) e l’andare benissimo a scuola (5,7%). Sono invece poco rilevanti, a giudizio degli intervistati, la scarsa avvenenza (2,1%) ed un fisico gracile (2,2%). Secondo il 12,5% nessun ragazzo in particolare sarebbe più a rischio di altri.
Oltre un terzo dei ragazzi intervistati (36,9%) afferma di aver assistito ad episodi di bullismo nella propria scuola, il 62,3% dichiara invece il contrario. La più alta percentuale di ragazzi che hanno assistito ad atti di bullismo a scuola si trova nelle Isole: 48,1%, ovvero quasi la metà del campione considerato. Valori più bassi si registrano al Centro (38,7%), al Sud (38,4%) e al Nord-Est (38,1%), mentre al Nord-Ovest i ragazzi testimoni di bullismo scolastico sono meno numerosi (27%).
Qual è il comportamento degli insegnanti? La decisione prevalente riguarda i provvedimenti disciplinari, come note o sospensioni (29,8%). Il 18,8% dei docenti rimprovera il responsabile, mentre il 13,9% non si accorge di nulla ed un altro 8,9% non interviene. In altri casi gli insegnanti parlano con i genitori dei bulli (9,5%) o si rivolgono al Dirigente della scuola (8,7%).
Le emozioni... La reazione più comune degli adolescenti, quando assistono ad un episodio di bullismo, è la rabbia (40,7%), seguita dalla pena per la vittima (26%). Il 13,3% riferisce di provare disapprovazione, il 6,7% paura, il 5,8% indifferenza. Sono pochissimi i ragazzi che affermano di provare ammirazione (0,1%) o invidia (0,3%) per il bullo, oppure di divertirsi (1,9%).
...e le reazioni dei compagni a episodi di bullismo. Ben il 21,4% degli adolescenti afferma che i propri compagni si divertono, il 15,5% che disapprovano senza intervenire, il 12,1% che rimangono indifferenti, l’11,4% che disapprovano e aiutano la vittima. Nel 7,7% dei casi i compagni si allontanano per non essere presi di mira, nel 6,8% si spaventano, nel 4,7% chiedono aiuto, nel 2,5% danno man forte ai bulli.
Che cosa fare? La strada più efficace per fermare il bullismo è punire i bulli (29,5%); al secondo posto si colloca una soluzione che fa leva sul sostegno offerto dal gruppo alla vittima (22,2%); al terzo la richiesta di aiuto agli adulti (17,6%). Il 13,9% dei ragazzi suggerisce di parlare con il bullo e convincerlo a non farlo più; per il 5,6% occorre invece dire alla vittima che deve reagire.
Sms o e-mail offensive o minatorie, creazione di siti Internet sui quali vengono diffuse immagini o filmati compromettenti per la vittima: sono i mezzi utilizzati dai bulli che agiscono attraverso le nuove tecnologie, i cyberbulli. La maggior parte dei ragazzi non ha mai utilizzato Internet o il cellulare per inviare o diffondere messaggi, foto o video offensivi o minacciosi (93,7%), mentre il 5,4% ha dichiarato di averlo fatto raramente (3%), qualche volta (1,7%) o spesso (0,7%). Più diffusa la pratica di diffondere informazioni false su un’altra persona: il 13,2% degli adolescenti ha affermato di compiere raramente (9,6%), qualche volta (2,3%) o spesso (1,3%) azioni di questo tipo. Il 10,8% utilizza la Rete per escludere una persona da un gruppo on line.

I cyberbulli usano... Il 49,7% preferisce il cellulare, mentre il 40,3% sceglie di sfruttare la Rete. In particolare, il 19% dei cyberbulli agisce sulle chat o attraverso i siti di instant messaging (9,5%); l’8,2% tramite blog (3,8%), forum (2%) e e-mail (2,4%); il 3,6% fa il prepotente attraverso giochi di ruolo on line.
Anonimi...cyberbully. Le vittime del cyberbullismo lamentano di aver ricevuto o di essere venuti a conoscenza dell’esistenza di informazioni false sul proprio conto, trasmesse tramite Internet o il cellulare (22,5%); all’8,5% sono stati recapitati messaggi offensivi o minacciosi, mentre il 4,1% afferma di essere stato escluso da gruppi on line. La maggior parte non ha idea di chi possa essere a perpetrare simili azioni nei loro confronti (37,6%). Tali azioni vengono portate avanti più spesso da persone che la vittima conosce poco (19,7%) o, più raramente, da amici e compagni di scuola (11,4%).
A chi si chiede aiuto? I ragazzi confidano più spesso l’accaduto ad un coetaneo (25,5%), oppure, cercano l’aiuto dei genitori (21,5%). Molti invece preferiscono non farne parola con nessuno (22,1%). Poca fiducia viene riservata, inoltre, agli insegnati (il 7,2%) e ai fratelli o alle sorelle (5,7%).
Chi non beve non si “sballa”, non si diverte, è fuori dal coro. Il 51,5% dei giovani dichiara di bere alcolici qualche volta a fronte del 38,8% di coloro i quali non hanno mai bevuto. C’è, poi, chi ammette di “farsi un bicchiere” spesso (7,8%) o quotidianamente (1,3%). Consumare occasionalmente bevande alcoliche è un’abitudine più diffusa tra le ragazze: il 55% di esse dichiara, infatti, di farlo qualche volta a fronte del 47,2% dei ragazzi. Questi ultimi dichiarano invece di assumere alcol spesso (8,3% vs 7,4%) o addirittura tutti i giorni (2,4% vs 0,4%).
Bicchierino precoce... La maggior parte degli intervistati dichiara di aver bevuto per la prima volta un bicchiere di birra/vino tra gli 11 e i 14 anni (45,7%), il 24,8% dopo i 15 anni, mentre ha vissuto in tenera età questa esperienza il 17,8% dei giovani. Solo il 5,5%, dichiara di non aver mai bevuto un bicchiere di birra o vino.
...ma soprattutto alle feste. Gli alcolici si bevono prevalentemente in occasioni di feste e ricorrenze (49,6%) o quando si è in compagnia di altre persone (27,9%). Bevono perché ne hanno voglia o durante i pasti rispettivamente il 16,3% e il 3,9% dei giovani.
Guida in stato di ebbrezza, no grazie. L’83,1% dei ragazzi sostiene di non essersi mai messo alla guida di un motorino o di un’auto dopo aver bevuto alcolici. È capitato raramente o qualche volta rispettivamente al 6,8% e al 5,2%. Da non sottovalutare il 3,1% di giovani ai quali è capitato spesso di guidare dopo aver consumato bevande alcoliche. Più prudenti le ragazze: l’88,3% non ha mai guidato dopo aver bevuto, contro il 76,6% dei coetanei maschi.
In macchina con un ubriaco alla guida... Il 64,4% afferma che non gli è mai capitato a fronte del 16,8% e del 12,2% di chi si è trovato in questa situazione raramente o qualche volta. I maschi dichiarano, con maggior frequenza, di non aver mai accettato un passaggio dal conducente di un veicolo che avesse bevuto alcolici (67,2% vs 62,1). Per contro il 13,5% delle ragazze e il 10,6% dei ragazzi affermano di averlo fatto solo qualche volta, mentre il 4,3% delle prime contro il 3,9% dei secondi dichiara di farlo spesso.
L’84,3% degli adolescenti non è mai stato aggredito da un coetaneo, rispetto al 10,5% che ammette di esserlo stato, seppur raramente, e il 3,5% che dichiara di essere stato vittima di aggressioni da parte di altri ragazzi solo qualche volta. Lo stesso si può dire per le aggressioni subite da parte di un familiare: 85,8% è la percentuale di quanti hanno risposto “mai”, contro l’8,7% che risponde “raramente” e il 3% “qualche volta”. Le aggressioni da parte del partner, di adulti sconosciuti o conosciuti sono ancora più insolite: il 93,3% non è mai stato oggetto di aggressioni da parte di adulti conosciuti; il 92,6% non è mai stato aggredito dal partner e il 92% non ha mai ricevuto attacchi da parte di soggetti sconosciuti.
La paura più grande? Essere violentati. La paura più frequente risulta quella di essere vittima di violenze sessuali (17%), seguita dal timore di essere importunati da sconosciuti (11%) e di essere rapiti (9,7%). Le paure più lontane dai ragazzi sono, invece, quella di essere picchiati da altri coetanei (il 62% non l’ha mai provata) e quella di essere coinvolti in attentati terroristici (il 60,6% non l’ha mai provata).
Ma tutto sommato vivono tranquilli... La maggioranza degli adolescenti riferisce di non essersi mai sentita in pericolo (51,6%). Il 47,2% dei ragazzi ha però vissuto una situazione di pericolo mentre la percentuale dei bambini non superava il 38,3%. In situazioni di pericolo solo il 29,7% dei ragazzi chiama i genitori o un altro adulto di fiducia. Il 23,1% degli adolescenti parla con un amico. Nel 22,1% dei casi i ragazzi si difendono da soli. Il 17,1% si chiude in se stesso e non ne parla con nessuno. Sporadici sono i casi in cui il soggetto si affida alle autorità competenti chiamando i numeri di emergenza (1,7%).
Co.co.co.: convivenza di collaborazione continuativa. Per il 79,4% degli adolescenti, uomo e donna dovrebbero collaborare il più possibile nella gestione della famiglia o mantenere una parziale distinzione dei ruoli (11,1%). Soltanto il 2,6% pensa che i compiti domestici che spettano all’uomo e alla donna debbano rimanere distinti. L’86% delle ragazze ritiene necessario che uomo e donna collaborino, contro il 71,2% dei ragazzi.
Adolescenti per le pari opportunità. Il 79% degli adolescenti ritiene che una donna è in grado di svolgere qualsiasi tipo di attività lavorativa ed il 75,9% si dice per niente (56,5%) o poco (19,3%) d’accordo sul fatto che il successo professionale sia importante più per l’uomo che per la donna. Inoltre, il 67,5% è favorevole al fatto che le donne occupino posizioni di rilievo nella politica e nei vertici aziendali.
Maternità, poi, non vuol dire rinunciare al proprio posto di lavoro per il 62,2% degli adolescenti che si dichiarano molto (30,8%) o abbastanza (31,4%) d’accordo con tale risposta, sebbene il 64,5% si esprima a favore di una completa realizzazione femminile nell’ambito della famiglia. Alla donna, inoltre, spetta il compito di prendersi cura della casa (47,7%). Le ragazze sentono di poter essere brave a svolgere qualsiasi tipo di mestiere (86,6% vs 69,7%) e di poter ambire ad occupare posizioni importanti nel mondo della politica e delle aziende (80,1% contro 51,9% del sesso opposto). I ragazzi, invece, vedono l’universo femminile maggiormente proiettato in un’ottica casalinga. Il 55,6% sostiene, così, che la cura della casa è un compito che spetta prevalentemente alla donna (contro il 41,2% delle ragazze), la quale si sente realizzata soprattutto nell’ambito della famiglia (69,4% contro 60,6%).
Uomini ai fornelli e donne Presidenti? Gli adolescenti dicono sì. Nel 90,4% dei casi, non è considerato “strano” che un uomo si metta ai fornelli, né che si dedichi alla pulizia della casa (65,1%). Nessuna riserva, poi, per la possibilità che una donna si arruoli nell’esercito o aspiri a ricoprire la carica di Presidente della Repubblica (rispettivamente il 70,3% e il 76,5% degli intervistati). Inoltre, il 59,2% non trova inusuale che un uomo studi danza e l’80,8% che una donna giochi a calcio. Sono gli adolescenti, più delle ragazze, ad avvertire anomalo il fatto che un uomo studi danza (46,3% vs 33,9%) o che una donna possa diventare Presidente della Repubblica (28,4% contro il 17,5% delle adolescenti che condividono la stessa opinione).
Buone maniere o discriminazione? L’82,6% dei giovani ritiene che cedere il posto a sedere o il passo ad una donna sia un comportamento cortese da adottare; solo l’8,4% crede che si tratti di un dovere, mentre, per il 2,4%, è un atteggiamento superato o addirittura una forma di discriminazione indiretta verso le donne (1,5%). Riguardo alla consuetudine che sia l’uomo a pagare il conto al ristorante, l’81,2% degli adolescenti pensa sia un comportamento gentile da mettere in pratica, oltre che un dovere (13%). Solo per il 2,6% si tratta di un’usanza superata che può costituire, in alcuni casi, un atteggiamento di discriminazione nei confronti delle donne (1,5%).
L’omosessualità o eterosessualità: è sempre amore. Per il 35,6% degli adolescenti l’omosessualità non andrebbe criticata, mentre il 24,9% è indifferente rispetto a questo argomento. Un adolescente su 5 (20%) ha affermato di considerarla una forma d’amore come l’eterosessualità. È immorale e contro natura, invece, per l’11,6% e solo l’1,9% afferma che andrebbe perseguita. Una coppia omosessuale ha diritto a sposarsi con rito civile per il 47,6% dei giovani, d’altra parte, la maggior parte (52,8%) ritiene che per una coppia stabile di omosessuali non sia un diritto adottare un bambino.
Come vedono il proprio futuro? Il 56,7% dei giovani nutre abbastanza (43,6%) o molta (13,1%) speranza di trovare un lavoro sicuro ed economicamente soddisfacente (contro il 42,2% che al riguardo ha poche speranze o addirittura nessuna speranza). Il 65,1% è molto (21,4%) o abbastanza (43,7%) convinto che il futuro riservi la possibilità a ciascuno di trovare il lavoro che più piace (contro il 34% che sostiene il contrario). L’82,2% si dice molto (30%) o abbastanza (52,2%) sicuro di vivere in futuro una vita sentimentale felice. Spera di realizzare i propri sogni, infine, oltre la metà dei giovani (66,9%).
La speranza di un mondo migliore? Un sogno. Rispetto alla società, il 52,4% degli adolescenti nutre poche (41,7%) o nessuna (10,7%) speranza di vivere in futuro in un mondo migliore e il 68% ritiene che vi siano poche (51,1%) o nessuna (16,9%) possibilità di cambiare la società grazie all’impegno mostrato da ciascuno.


Fonte Eurispes
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