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Argomento 'Cultura'

Calcio giovanile, l’amarezza di un genitore da far meditare
Data di pubblicazione: 10/06/2008
Calcio giovanile, l’amarezza di un genitore da far meditare

Caro direttore,
sapendoti uomo di sport, nonché genitore di un promettente calciatore in erba, vorrei sottoporre alla tua attenzione un istruttivo episodio del quale sono stato mio malgrado testimone nel corso di un recente week-end. In una ridente località della nostra provincia si disputa uno dei classici tornei calcistici giovanili di fine stagione. Non è uno di quelli particolarmente prestigiosi, anzi, tanto che – tra rinunce dell’ultimo momento e peripezie varie – le squadre partecipanti (ragazzi nati nel 1996-97) sono soltanto cinque. I dirigenti della società organizzatrice (che, per rispetto della privacy, indicherò col nome fittizio di “Santa Carlotta”, e nella quale gioca uno dei miei figli) decidono quindi di far giocare un torneo all’italiana, da disputarsi il sabato pomeriggio e la domenica mattina; le prime quattro della classifica risultante giocheranno, nel pomeriggio di domenica, la finale per il terzo posto e la finalissima, mentre la quinta classificata farà da spettatrice in attesa della premiazione finale.

Ulteriori disguidi impongono, durante lo svolgimento delle partite del sabato, il rifacimento del calendario degli incontri; ne risulta che l’ultima partita del girone all’italiana sarà quella che oppone due formazioni della stessa società (che, sempre per amor di privacy, chiameremo “Rapida A” e “Rapida B”). I risultati delle partite precedenti, malignamente, fanno sì che prima dell’ultimo incontro la “Rapida B” sappia già che, indipendentemente dal risultato, andrà a giocare la finale per il terzo posto; la “Rapida A”, invece, deve assolutamente vincere per evitare l’ultimo posto, che in tal caso andrà al “Santa Carlotta”.

E qui cominciano le dolenti note. Mentre sto uscendo dal campo al termine del penultimo incontro, passo vicino ad un giocatore della “Rapida B”, che sta parlando con un accompagnatore della società; sento il ragazzino dire qualcosa sul “terzo e quarto posto”, al che l’accompagnatore gli chiede “Ma allora li fate vincere?”. Siccome sono un ingenuo, penso di aver capito male, confortato in tal senso dagli altri genitori della squadra di mio figlio: “Ma figurati, sono ragazzini, non possono non giocare sul serio!”

Le mie convinzioni cominciano ad incrinarsi quando la “Rapida A” va velocemente in vantaggio per 2-0, nonostante sulla carta sia lievemente inferiore agli avversari: ma si sa che, a quell’età, ogni partita fa storia a sé, anche se in effetti non noto nella “Rapida B” l’usuale furore agonistico che è anch’esso caratteristico dell’età.

Mentre faccio questi bei ragionamenti, l’allenatore della “Rapida B” sostituisce il proprio capitano ed un altro giocatore, ed i due ragazzini passano sotto le tribune per andare a farsi la meritata doccia. Uno dei due si rivolge ai parenti, seduti proprio sotto di me, e dice ridacchiando: “Eh, sono davvero troppo forti, questi... non riuscivo proprio a tenerli...”, venendo immediatamente invitato al silenzio dai parenti stessi, evidentemente più smaliziati di lui.

Mio buon direttore, ti confesso che a questo punto sono stato fortemente tentato di dimenticare immediatamente l’accaduto, ed andarmene a casa a pensare a cose più amene. Quello che mi ha fatto cambiare idea è stato vedere mio figlio, che si era fatto un mazzo tanto assieme ai suoi compagni nelle quattro partite giocate (con risultati, ahimè, non corrispondenti all’impegno), seduto in tribuna a tifare per la squadra la cui vittoria gli avrebbe consentito di non arrivare ultimo, sperando in una rimonta a quel punto più impossibile che improbabile.

Dopo la partita, terminata ovviamente con la vittoria della “Rapida A”, mi sono quindi rivolto cortesemente dapprima ad un dirigente del “Santa Carlotta”, e poi ad un responsabile del “Rapida B”, ottenendo le seguenti risposte alla mia esposizione dei fatti:

Dirigente “Santa Carlotta”: “Ma di cosa ti stupisci? Era ovvio che avrebbero fatto la torta!”

Responsabile “Rapida B”: “Ma cosa ti aspettavi che facessimo? Mettendo il derby all’ultima partita, ci hanno messo nelle condizioni di dover fare vincere la squadra che aveva bisogno di punti! Mettiti nei miei panni: se tu avessi 26 ragazzini divisi in due squadre, è ovvio che faresti in modo di far giocare una partita in più a tutti quanti, anziché a 13 soltanto!”

Direttore mio, l’ho detto che sono ingenuo, ma resto tuttora stupefatto di aver dovuto sentire frasi del genere da parte di chi dovrebbe non solo allenare, ma anche “educare” dei ragazzini di 11-12 anni.

Dopo aver parlato con gli altri genitori, abbiamo deciso di portare i nostri ragazzi a passare il pomeriggio altrove, saltando la premiazione. Forse abbiamo fatto male, perché ai nostri figli avrebbe comunque fatto piacere ricevere la loro medaglietta del quinto posto; forse abbiamo fatto bene, perché avrebbero visto premiare (e quindi omologare) il risultato di un imbroglio.

Vedi, direttore, io sono tifoso del Genoa: tre anni fa la mia squadra del cuore è stata (giustamente) retrocessa in serie C per aver cercato di “ammorbidire” ulteriormente un avversario che, all’ultima giornata, non aveva alcuno stimolo di classifica. In quell’occasione, i giudici sportivi hanno ritenuto di dover premettere alla sentenza una frase che definiva “palesemente incompatibile con i principi di lealtà, correttezza e probità ai quali l’ordinamento sportivo non può abdicare, pena la sua irrimediabile caduta di credibilità e financo la sua stessa sopravvivenza” il dare per scontato che “una squadra [...] senza particolari stimoli di classifica [...] debba [...] mantenere un comportamento di giuoco ed un atteggiamento “allineati” alle aspettative dell’avversario”.

Se tiriamo su i ragazzini in questo modo, prepariamoci a leggerne parecchie altre, di sentenze del genere... ma forse no, perché poi, crescendo, si impara anche ad essere “furbi” e non farsi beccare con le mani nel sacco (salvo rari casi, accidenti).

Volendo chiudere comunque su una nota di speranza, citerò un’altra frase del responsabile della “Rapida B”, che mi ha detto che alcuni dei suoi ragazzi hanno pianto prima della partita, perché non volevano giocare per perdere; e anche il candore di uno dei partecipanti alla “torta”, presente al colloquio tra me ed il suo responsabile, che mi ha chiesto poi con aria preoccupata “Ma allora si vedeva? Eppure a me sembrava di aver fatto finta proprio bene!”

Mah. Speranza, sì, ma anche tanta amarezza.

Ed ora godiamoci gli Europei, dove le partite dovrebbero essere tutte “vere”... almeno dopo i gironi eliminatori, perché a ben pensarci una certa Svezia-Danimarca del 2004 assomigliava tantissimo a “Rapida A”-“Rapida B”...

Cordialmente,
Amareggiato ‘64

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