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Argomento 'Dove andare'

Nuova stagione artistica del Teatro Chiabrera di Savona
Data di pubblicazione: 29/09/2013
Nuova stagione artistica del Teatro Chiabrera di Savona La stagione artistica si compone di quattro rassegne per settantatré rappresentazioni  <<A differenza dello scorso anno, a dare maggiore “peso” specifico al ciclo della prosa ci sono, oltre agli interpreti, anche alcuni testi problematici sul tema della “responsabilità” con un “trittico tebano” che sconfina nella musica e nel balletto mentre, per la serie dei concerti, si svolge un ampio progetto “Beethoven”.

Inaugura la stagione “Torre d'avorio” di Ronald Harwood. Luca Zingaretti, anche ottimo regista, è il maggiore americano Arnold, venditore di polizze assicurative nella vita civile, che, ottusamente, cerca di “incastrare” Wilhelm Furtwängler, il grande direttore d'orchestra tedesco accusato di avere in qualche modo collaborato con il nazismo anche perché non ha lasciato la Germania (come fece, invece, Toscanini con il fascismo) a cui dà voce e volto autorevole Massimo De Francovich. Di fronte al potere politico, tanto più se ha soppresso i diritti democratici, l'artista deve fare una scelta o può rimanere una “torre d'avorio”? E se si tratta di un grande artista, la sua responsabilità può essere “solo” individuale? La pièce non prende posizione e lascia a noi “schierarsi” come dice il titolo originale “Taking sides”. Il tema della responsabilità tocca la scienza e la filosofia ne “Il visitatore” di Eric-Emmanuel Schmitt. Freud (Alessandro Haber), secondo i risultati delle sue ricerche, ha indicato nella religione “l'avvenire di un'illusione” e ha contribuito all'eclissi di Dio. Può essere, allora, responsabile, in qualche modo, della morte di Dio? Quella morte che gli uomini che hanno appena invaso l'Austria e portato via sua figlia Anna realizzeranno ad Auschwitz? E che succede se, per ristabilire il confronto insolubile tra l'umano e il divino, quella notte, nello studio di Berggasse 19, si presenta un Visitatore (Alessio Boni), - lo stesso Dio? - a “tentare” Freud e a scuoterne la coscienza? Massimo Carlotto, tra i nostri maggiori scrittori noir, affronta in “Oscura immensità” il tema urticante della vendetta e del perdono privato o collettivo. Silvano Contin (Giulio Scarpati) ha visto rovinata la sua vita da una rapina nella quale sono stati uccisi la moglie e il figlio. Ora gli viene chiesto di perdonare il rapinatore, Raffaello Beggiato (Claudio Casadio), malato terminale, per farlo uscire dal carcere. Contin accetta, ma per tutt'altro scopo. Chi può perdonare? Chi deve fare giustizia? Il singolo o la collettività? La “società” pensa davvero alle vittime e ai loro parenti, che “responsabilità” ha nei loro confronti? E che idea di “comunità”, anche di quella così piccola della propria famiglia, viene fuori da “Le voci di dentro” di Eduardo De Filippo? I fratelli Saporito (Toni e Peppe Servillo) rimangono ancora più rinserrati e distanti tra di loro circondati da un verminaio di vicini pronti, anche loro, ad accusarsi e ad approfittare delle difficoltà altrui. E qui, nell'idea di Eduardo, dallo spettatore “avvertito” dovrebbe venir fuori, per contrasto, la speranza che i reali comportamenti, fuori dal palcoscenico, siano di una mutua “responsabilità” sociale dove prevalga, invece dell'egoismo del singolo, la solidarietà. Se ci si sposta dalla piccola comunità di un caseggiato al grande agglomerato di una città, la gloriosa Tebe di Sofocle, è Edipo che sente la “responsabilità”, in quanto re e padre, di salvare il suo popolo dalla peste che lo sta uccidendo. Il benessere generale è più importante della sua vicenda anche se scacciare il male lo porterà a conoscere la terribile verità e a perdersi. Ma Lucilla Giagnoni, intrecciando il testo greco con quello biblico, ci “rivela” anche che l'“Apocalisse” non è fine, ma rinascita, un vedere con occhi nuovi e che la nuova Gerusalemme non è quella celeste, ma il giardino terreno che gli uomini in una rinnovata, responsabile solidarietà, sapranno costruire. Perché l'autorità può avere il volto terreo di Creonte (Marco Sgrosso), il “tiranno” che impedisce ad “Antigone” (Elena Bucci) la sepoltura di Polinice, traditore della sua patria. Deve prevalere la legge “non scritta” che chiede pietà e rispetto, comunque, per il morto richiamandosi a valori, divini, eterni o la legge “scritta”, quella della città, delle istituzioni, della variabilità storica, che hanno stabilito diversamente? Antigone sente di avere una “responsabilità” personale che la porta fuori dalla legge e alla precoce morte, Creonte capisce troppo tardi che la “responsabilità” di regnare, di dare ordine alla comunità, se confusa con uno spietato autoritarismo, può trasformarsi in un altro accecamento. Tocca a “Il giuoco delle parti” di Pirandello portarci gradualmente fuori dal “cuore” della stagione con un ulteriore esempio del suo sfrigolante “umorismo”. A chi tocca la “responsabilità” di sostenere il duello in difesa dell'onore della moglie Silia? A Leone Gala (Umberto Orsini), marito, pro forma, ma non più nella sostanza o all'amante in carica? E quanto costa “svuotarsi” delle convenzioni sociali? Le stesse che sono, invece, così naturalmente accettate ne “La tela del ragno”, una delle commedie più divertenti di Agatha Christie resa con amorevole cura “british” da Attori & Tecnici capitanati dall'indomita Viviana Toniolo. Il classico cadavere ingombrante sembra avere vita propria e mettere alla prova le storie sempre più contraddittorie dei vari personaggi. Alla garbata ironia sul “giallo” di Agatha Christie si accompagna il sorriso beffardo di Mel Brooks nella rilettura “cult” dei classici horror degli anni '20 dedicati alla “creatura” di Mary Shelley. Tratto dall'omonimo film del 1975, il musical “Frankenstein Junior” è stato in scena a Broadway dal 2007 al 2009. La fedele versione italiana “doc” realizzata da Saverio Marconi per la Compagnia della Rancia vede nei panni dell'improvvido scienziato Giampiero Ingrassia, per la prima volta in città, e un formidabile gruppo di attori-cantanti e ballerini (700 provini!) in un sontuoso allestimento. Due spettacoli segnano dei graditi ritorni. Massimo Ranieri è Raffaele Viviani, una delle figure centrali del teatro e della musica napoletana del primo Novecento, in “Viviani Varietà” ideato dal “suo” regista di sempre Maurizio Scaparro. Con una dozzina di compagni di viaggio che alternano recitazione e canto e una piccola orchestra dal vivo Ranieri ci porta a bordo del piroscafo “Duilio” in navigazione da Napoli a Buenos Aires nel 1929 per ricreare, anche sulla base dei ricordi dello stesso Viviani, le prove del suo spettacolo destinato agli emigranti italiani. Un affettuoso omaggio ad un genere, il “varietà”, che ha segnato un momento importante della storia del teatro italiano. Paolo Poli, eterno discolaccio, si occupa, da par suo, di Giovanni Pascoli e il suo “Aquiloni” vola alto a garrire nel vento. Trascegliendo con libertà e alternando poesie note (“Valentino”) a pezzi rari (“Italy”, sull'emigrazione in America), momenti di ripiegamento emotivo alla citazione “anarchica-socialista” di “Addio Lugano bella”, lo spettacolo ci porta, forse con nostalgia, a riaprire le nostre “vecchie” antologie. Il rapporto circolare teatro-cinema è testimoniato da tre spettacoli. Si ride molto, amaramente, in “Qui e ora” di Mattia Torre, co-sceneggiatore di “Boris” e tra gli autori di “Parla con me” di Serena Dandini. Valerio Mastandrea è il creativo chef pluristellato che detta legge dal suo programma radiofonico, appunto, “Qui e ora”. Viaggiando su uno scooter nella periferia romana ha un grave incidente con un'altra moto. Servono i soccorsi, soprattutto per l'altro conducente, la trasmissione deve assolutamente andare in onda, ma è estate, non arriva nessuno... Angela Finocchiaro e Maria Amelia Monti (nella foto) sono le due amiche mature che si scambiano “La scena”, ultimo testo di Cristina Comencini, per scoprire, insieme al ragazzo di una notte, che la comune ricerca dell'amore non ha fine e Ambra Angiolini, sola sul palcoscenico, ne “La misteriosa scomparsa di W” sorprende per la qualità dell'interpretazione che sa orientarsi tra i diversi registri del paradosso e del fantastico tipici della scrittura di Stefano Benni. E se Paolo Rossi ci offre un altro spezzone della sua autobiografia “in progress”, stavolta perso sull'altopiano del Carso, Andrea Scanzi, in un ruolo meditato e di servizio, disegna un ritratto “civile” di Giorgio Gaber, a dieci anni dalla sua scomparsa, ancora in grado di emozionarci e di essere utile viatico per quel pubblico giovane che per ragioni anagrafiche non lo ha potuto conoscere. Si inoltra, ancora, Corrado Abbati nel territorio del musical, addirittura con “Cantando sotto la pioggia” di Herb Brown reso conosciutissimo dal film con Gene Kelly, e “rientrando” nel mondo della classica operetta viennese con “Sogno di un valzer” di Oscar Straus mentre Teatro Musica Novecento di Stefano Giaroli propone “L'acqua cheta” di Giuseppe Pietri, il lavoro ambientato nella campagna toscana che segna, nel 1920, la nascita dell'operetta “italiana”. A comporre il “trittico tebano” con “Edipo Re” e “Antigone”, è il balletto '”Oedipux Rex” in una serata stravinskijana che vede, al posto d'onore, la celebrazione della centenaria “La Sagra della primavera”. Fredy Franzutti ha ideato una coreografia che accosta, in modo originale, il tema della danza rituale al tarantismo espressione della cultura salentina dalla quale proviene il Balletto del Sud. E, tra le ricorrenze, il Balletto di Milano danza i “ballabili” verdiani in “W Verdi”, volteggiando tra “Aida” e “Macbeth”, “La Traviata” e “I Vespri Siciliani”. La stagione musicale riafferma il suo carattere internazionale e amplia l'offerta di generi, e di pubblico, con il “piano solo” di Giovanni Allevi e il tour per la nuova incisione di Angelo Branduardi. La inaugura Gábor Farkas, nell'ambito dell'Anno Culturale Italo-Ungherese, fresco vincitore del prestigioso Premio Liszt 2012, con un bellissimo recital lisztiano dedicato all'Italia e tecnicamente ardimentoso che prevede sia la “Totentanz” che la “Sonata in si minore”. Torna, dopo oltre vent'anni, la Budapest Strings Chamber Orchestra con la classica “Serenata” di Čajkovskij e la, da noi mai eseguita, trascrizione mahleriana per orchestra d'archi del quartetto “La morte e la fanciulla” di Schubert. Continua, con la presenza di Bob Van Asperen, la serie dei grandi clavicembalisti europei in un programma bachiano “alla pari” con Stefano Bagliano e Federico Guglielmo che comprende l'esecuzione della “Ciaccona” per violino solo nella inusuale trascrizione per cembalo realizzata proprio da Van Asperen. Ma il “cuore” della stagione sta nel percorso dedicato a Beethoven che si pone, volutamente, come introduzione per un pubblico più vasto al mondo musicale del grande tedesco. Ecco sfilare la “Patetica” e l'”Appassionata” con un interprete d'eccezione quale l'austriaco Rudolf Buchbinder, la “Waldstein” e la “Sonata quasi una fantasia” e “Al chiaro di luna” rispettivamente con Steven Osborne e con Paul Lewis, i Dioscuri del pianismo inglese, la inquieta quarta sonata per violino con la “rising star” svizzera Rachel Kolly d'Alba. A Corrado D'Elia, Premio della Critica teatrale italiana 2010, il compito di trasmettere il “vissuto” del musicista in “Io, Ludwig van Beethoven”, un lavoro teatrale che, mescolando musica, biografia e reinvenzione, ci porta a quel commuovente sventolio di fazzoletti bianchi del 7 maggio 1824, prima esecuzione della “Nona”. Che, dopo tanti anni, l'Orchestra Sinfonica Nazionale Ucraina tornerà a far risuonare, insieme alla fiduciose parole di Schiller, il 14 dicembre sotto le nostre volte.>>

Il direttore del Teatro
Roberto Bosi
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